Perchè “Cilento”?
Il nome “Cilento” sembra nascere da una semplice indicazione geografica: “al di qua dell’Alento”, il fiume che scorre tra le colline e i borghi ai piedi del Monte Stella. In latino, cis Alentum.
Col tempo quell’etichetta operativa si è fatta identità: prima un’area amministrativa medievale, poi un territorio culturale riconoscibile, oggi un paesaggio di memorie condivise. È interessante notare come il cuore più antico del Cilento coincida proprio con il cono del Monte Stella e i paesi che gli ruotano intorno: una costellazione di comunità che da secoli si guardano e dialogano “a vista”, da un crinale all’altro.
Il toponimo racconta una geografia di prossimità: non una grande capitale che impone un nome dall’alto, ma un fiume che segna la vita agricola, la posizione dei mulini, i confini delle masserie. L’Alento non è solo un corso d’acqua: è il filo blu che cuce campi, boschi, sentieri. La lingua lo registra; le persone lo incorporano nelle abitudini.
Da quell’indicazione pratica è nata una parola calda, evocativa, che oggi per molti viaggiatori significa ulivi, muretti a secco, borghi, mare lontano e vicino insieme.

C’è poi l’altra metà della storia, quella della gente che nel nome si è riconosciuta: pescatori e montanari, carbonai e pastori, artigiani della pietra e della ceramica. Il Cilento è una somma di micro-culture: cucine diverse a pochi chilometri, dialetti che cambiano nel giro di una curva, feste che si rispondono di campanile in campanile. Nel nome “Cilento” c’è il plurale: un arcipelago di storie sotto la stessa luce.
Per chi arriva oggi, la parola funziona ancora: orienta e invita a perdersi. Lontano dalle autostrade del turismo, vicino ai ritmi della terra. È una promessa di lentezza buona: guardare un castello da un balcone, contare i terrazzamenti, seguire con lo sguardo il letto dell’Alento fino al mare.
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